Questa notte - Lettori

Manciano, Classe 2^ ITIc, a.s. 2018-19

Il 13 febbraio, durante due ore di assemblea, il nostro professore di Italiano ha fatto venire un suo vecchio amico poeta per farci ascoltare la lettura di alcune sue opere. Arrivato in classe, il poeta Velio Abati si è accomodato alla cattedra, ha sistemato i fogli e ha cominciato a fare una presentazione di sé e del suo libro. Ha iniziato col dire che da ragazzo non si era interessato particolarmente alla poesia, ma che quando aveva vent'anni, un poeta abbastanza famoso e suo professore, Fortini, aveva letto una poesia in aula, lui aprì gli occhi su quel mondo e iniziando a scrivere varie poesie gli crebbe l'interesse.

Il libro, intitolato Questa notte, è un canzoniere (un termine antico per indicare una raccolta di poesie). È suddiviso in diverse parti (Il mattino, Albe Rese, L'ospite cerimonioso, Il vino, Il figlio, Questa notte) che descrivono tutte insieme la vita del poeta, metaforicamente in un giorno. Dei testi si è letta solo una piccola parte, presi da diversi capitoli dell'opera, con l'eccezione del  Figlio, che si è letta tutta, a parte la poesia conclusiva. Questa è una sezione di quattordici poesie, dodici delle quali intitolate coi nomi dei mesi, a partire da settembre (mese della nascita del figlio) e due poesie, una delle quali è una dedica speciale per il figlio. Le dodici poesie sono tutte molto brevi. Utilizzano un linguaggio adatto alle stagioni rappresentate. La penultima poesia descrive delle attività svolte col figlio e nell'ultima strofa degli insegnamenti. Altre poesie derivano da eventi della vita del poeta, ad esempio ha scritto un sonetto in risposta a quello scrittogli dai suoi studenti per il suo compleanno, poi per il matrimonio di una sua cara amica. Queste ultime, di facile comprensione, sono seguite dalle poesie della fase indicata con il titolo L'ospite cerimonioso di più difficile comprensione  tanto da non essere possibile comprenderle senza titolo o spiegazione del poeta stesso, come ad esempio L'ospite.

Abbiamo trovato quest'esperienza molto interessante e significativa, perché si sono potuti osservare vari stili e motivi di scrittura. La prossima volta il poeta Velio potrebbe leggere la nostra di opera Marsiliana città metropolitana e dirci che cosa ne pensa.

30 marzo 2019

 

 

Ripropongo qui di seguito la recensione di Corrado Barontini, apparsa sulla rivista  "Maremma Magazine", Grosseto, XVI, 6, p.80.  v.a. 21 agosto 2018.

Corrado Barontini

Questa notte

Una raccolta di poesie di Velio Abati vede la luce in questo 2018 nella collana "Pretesti" dell'Editore Manni. Si tratta di una casa editrice che negli anni Ottanta dette vita alla rivista di letteratura "L'immaginazione"... un editore in controtendenza che ha pubblicato libri di Alda Merini o di Franco Fortini (per ricordare solo alcuni degli autori).

Il titolo di Canzoniere, che Velio ha messo al centro della sua silloge poetica, indica "il gusto e insieme la necessità della concretezza di fatti, di circostanze...". E continua col dire che le poesie contenute nel libro: "percorrono faglie esistenziali e stagioni storiche distanti, dall'impegno degli anni Settanta ai silenzi straniti del notiziario del mattino".

Il libro inizia con la presentazione di Camillo Pennati, il quale rivolgendosi all'autore scrive un testo in forma poetica intitolato A e per Velio dando con garbo lirico una propria chiave di lettura: "ecco scaturirne [...] l'affioramento di un sentire lento e sorgivo/ che intride il sentimento di un percorso/ nella passione sorgente di vibrare le proprie corde/ al musicato e musicale assenso col proprio accento/ [...]  tutto il trasporto/ a contenere il vibrante suono di poesia/ che aleggia sempre e ne fa raro il percettivo suono".

Proprio così. Il "suono", raro più che mai nella nostra epoca, è rintracciabile nella continua ricerca di movenze ritmiche, che Velio Abati  propone nei propri versi, rendendo, con la sua poesia, la concretezza dei fatti quotidiani.

"Armati /di manifesti arrotolati/ di pennelli, di orologio/ di un elenco di paesi/ partiamo..." Questo primo testo della raccolta si intitola Campagna elettorale; ci racconta degli entusiasmi legati al '68, ai partiti della sinistra di allora, alla militanza politica...

I versi dell'autore fanno ricordare fatti e persone, che anch'io ho conosciuto, e sciolgono i nodi di un lungo percorso richiamando alla memoria la coerenza dei rapporti che hanno influenzato la nostra vita.

"Certo Toti è maestro ottimo/ e delizioso/ piacevolmente parla/ dell'oggetto piegato al disegno.../ " Ma di chi parla in questi versi  Velio, se non di Toti Scialoja? E proprio a lui, alla sua poesia del "non senso", si ispirano i versi de Il figlio... come questo dedicato a  Giugno: "Nel biondo/ di paglia/ / mi nascondo/ con la quaglia."

I destini di un'epoca cambiata vengono scanditi dai titoli stessi delle varie sezioni che organizzano i testi: dal Mattino delle poesie più vecchie agli ultimi versi di Questa notte che danno il titolo all'opera. Sapientemente l'autore ci conduce dentro al proprio mondo poetico attraverso i sentieri della sua ricerca fatta di versi liberi ma anche di sonetti e di ottave che usano l'endecasillabo con arte:

"Nel tempo che la primavera in mare

le verdi acque move e i pesci chiama

e nelle siepi il pruno fra pur rare

foglie forza e costringe a breve trama

il dì che la mimosa per voi pare

donne - segno di sofferenze e lama

quando la rana torna nelle pozze

festeggiamo anche noi le nostre nozze."

Fu l'invito gradito, per la partecipazione alle nozze di Velio  e Maria Pia.

Abati, che oggi insegna a Grosseto in un istituto superiore, ha istituito e diretto per quindici anni la "Fondazione Luciano Bianciardi" pubblicando "Il Gabellino" (su progetto del Design Francesco Teodoro). Con lui ho collaborato, negli anni ottanta,  nel "Gruppo poesia dell'Arci" che ebbe l'adesione di molti scrittori grossetani (Morbello Vergari, Annarosa del Corona, Eldo del Papa, Marcello Morante, Umberto Mattolini, Sisinnio Pittau, Isabella Casini, Piergiorgio Zotti, Vittoria Gugliemi...) e furono messe in piedi varie iniziative pubbliche realizzando persino una preziosa collana di libri (la Collana Sèmi) edita dallo stesso Arci. Un tentativo per mettere in contatto gli intellettuali maremmani con le esperienze nazionali.

Velio ha continuato a collaborare a giornali e riviste mantenendo immutato il proprio interesse per la letteratura  e la poesia. Ha scritto libri di narrativa e di critica letteraria fra cui studi su Bianciardi, Cassola, Zanzotto, Fortini.

 

 

Ripropongo qui di seguito la recensione di Rossella Farnese, apparsa sulla rivista on line "Minima&Moralia".  v.a. 27 luglio 2018.

Rossella Farnese

Squarci ed echi da Questa notte, canzoniere di Velio Abati

Un canzoniere dalla struttura unitaria debole, o meglio, intermittente, quello di Velio Abati: quarantasette componimenti, organizzati in sei sezioni, che si collocano programmaticamente sulla linea Petrarca-Saba scardinandola su altri fili della letteratura italiana, da Gozzano a Caproni, da Montale a Zanzotto. Come non pensare, leggendo la prima poesia, intitolata Campagna elettorale, a Le due strade della gozzaniana Via del rifugio (1907): «presse grano, verde e giallo/ giallo e verde» rimanda alle «bande verdi gialle d’innumeri ginestre». E sfogliando l’indice, la sezione L’ospite cerimonioso rinvia subito al Congedo del viaggiatore cerimonioso (1965) di Caproni, cui fa eco anche l’alba della sezione Albe, Rese e del singolo componimento L’alba, ora, scende tarda, a mio avviso emblema e chiave di lettura del Canzoniere di Abati, edito da Manni nel gennaio 2018 (pp. 80, € 12,00).

L’alba, ora, scende tarda.
Nel sonno intermittente che chiama
alla fatica quotidiana, imprevisto
gorgoglia breve un gozzo, gratta l’imposta.
Perché qui antiche mattine?
Ma non è una festa. Il ritorno
è sempre falso se
non lo sostiene la mente.

Il sonno non è più completo. Forse
una voce, un grido, una corsa.
Abbi, ripeto, la forza dell’attesa. Senti,
la luce presto squarcerà la piazza.

 

Una poesia sospesa, sensoriale e radicata nell’hic et nunc, come Alba di Caproni: l’attesa, il ritorno falso, il «sonno intermittente» come le deserte porte del tram che si aprono e chiudono in eterno, «qua» e «qui», l’imprevisto gorgoglìo breve del gozzo, di sapore montaliano, come il fragore sottile del bicchiere.

Una poesia posta nell’ultima sezione, omonima della raccolta, Questa notte, che si dipana lungo le due coordinate della “notte” e dell’“ora”, i due assi volutamente ambigui del Canzoniere: infatti comunemente l’espressione “questa notte” può indicare tanto la notte appena trascorsa quanto quella che arriverà. Ed è in quest’alone che si situa l’opera di Abati, tra albe e sonno incompleto, tra «oggi» e «di nuovo», tra «ormai» e «tuttora».

Una poesia, quindi, che vuole essere squarcio, luce improvvisa nella piazza, un «frantumo di tempo» e un «taglio che unisce l’oggetto e la finzione». Componimenti brevi, haiku materici come Le poesie dei mesi, secondo quella dichiarazione di poetica in conclusione della poesia Legàmi?, «Il tratto/ ti dice/ è già stile».

La cifra dello stile di Abati è, forse, la pluralità, ma prima ancora l’adesione alla res, scrive infatti in Interno: «È troppo facile riempirsi la bocca/ di rotonde parole […] Dei nomi che hanno perso la cosa».

Non solo brevitas, quindi, adatta alla mensilità, ma molteplici movenze ritmiche, dal distico al verso libero, dal sonetto alla ballata, dall’ottava rima al poemetto, adatto alla cronaca della campagna elettorale. E in ogni testo vibra asciutta e dantescamente aspra la concretezza delle cose, così in Per una tenzone: «La poesia è nello sterco, nell’intrico/ di coscienza chiara e angoscia mortale». Una poesia di «viole e sangui», musicale e letteraria, colta e colloquiale, toscaneggiante ed espressionistica come il denominale «s’ingialla» di sapore reboriano, o il neologismo dantesco «s’indìa» o l’onomatopeico «grìcoli» che allude alle dita che solleticano i bambini.

Un canzoniere che sta nella veglia, nell’attesa, nella rilkiana melodia delle cose, nella montaliana maglia rotta della rete, che ha la resistenza del fragile, l’evanescenza dell’alba, la stimmung della ginestra leopardiana, così in chiusura, in Aggiornamenti: «Irromperà/ lo squillo del picchio».


 

Ripropongo qui di seguito la recensione di Maria Vittoria De Filippis, apparsa sulla rivista on line "L'ospite ingrato".  v.a. 27 giugno 2018.

Maria Vittoria De Filippis

La forza dell’attesa

Su Velio Abati romanziere e poeta

Domani (1) il romanzo, Questa notte, Canzoniere le poesie. Entrambi i testi sono stati pubblicati dall’editore Manni, rispettivamente nel 2013 e nel 2018. Si tratta, se così si può dire, di due romanzi, l’uno in prosa, l’altro in versi; l’uno narra le vicende di una lunga epoca della storia d’Italia, l’altro narra la storia dell’autore e, al contempo, la storia di compagni, amici, parenti, in una parola la storia di un’epoca, di una certa cultura italiana che vi entra sia attraverso il lessico, sia attraverso sonorità ed echi quasi sempre involontari.

Nelle prime poesie l’autore è visto mentre con altri partecipa alla vita sociale e politica, come, per esempio, in Campagna elettorale. Al figlio Guido, con tenerezza dedica poesie volutamente semplici, ma raffinate nella metrica e nelle scelte lessicali: Gennaio: «La brezza / che spezza // pur la scorza / la rinforza»; Aprile: «Là sbrinca / la tinca // qui c’è il chiú / col cucú».

Quanto si è detto del lessico a proposito del romanzo Domani, va ripetuto a maggior ragione qui per le poesie: un lessico con radici colte e “terrene”, un linguaggio ricco, variopinto. Alcune poesie hanno l’andatura della prosa, narrano vicende della quotidianità, come ad esempio Interno, dove è presente, come spesso nell’opera di Abati, la vita dei campi. Questa poesia, come Campagna elettorale, sembra appartenere a un’età giovanile dell’autore: «E il dolore dev’essere / un grido di guerra». La poesia si chiude con un’affermazione forte, una sorta di sentenza, di verità: «Dei nomi che hanno perso la cosa».

La sezione che segue ha per titolo: Albe, Rese, un gioco di parole che richiama un luogo famigliare al poeta, Alberese. A immagini cupe, come per esempio, «Aberrante pedale / in questa fluorescenza ronzano / monchi corpi atterrati», si alternano festeggiamenti di nozze.(2) Poesie più serene anche se mai spensierate. La poesia per A. B. "Sulla Mosa c’è una rosa"… ha un tono allegro e un’andatura quasi di danza. Poi il passo rallenta, «il sonno non è più completo», le cadenze sono altre, piene di echi, di somiglianza armonica, di accordi, non certo di citazioni. E viene in mente la musica. Agli addetti ai lavori o anche solo a chi abbia ascoltato e memorizzato molta musica può accadere che, nell’ascoltare un brano di un compositore, vi ritrovi un insieme di battute che richiamano un altro compositore più antico: altrettanto accade per il linguaggio poetico e non solo. In questa raccolta di Velio accade spesso con Fortini, un autore che Abati ha conosciuto personalmente, letto, studiato e che qui viene ricordato espressamente:(3)

Le tue stanze sono alte in via Legnano
a dito mostri i resti anneriti dei muri
sinistri per le tracce slabbrate del novantotto.

Gli echi, le somiglianze armoniche sono tante; talvolta si tratta di situazioni ricorrenti come in questi versi dedicati al padre:

Ora solo la lucidità, strenua
di persistere al lamento
quale, padre
è la pena che
innominato mi gridi?

Il titolo della raccolta, Questa notte, richiama la poesia Stanotte di Fortini. La poesia Mattino:

La lista è compilata
le stanze sono in ordine.
Dalla luce della terrazza
solo il brusio folto del pioppo; urta
il fragore irto di strada.
Il mare è lontano.

Nella cura mattutina, mentre ti attendo
scruto, non visto, il breve tremore.

E ascolto, amore, come fosse stamane
i decenni passati
stringendoci per mano.

Le stanze in ordine, la presenza del mare, quella di una figura femminile, i decenni passati; sono tutti tratti assai frequenti anche in poesie fortiniane.(4) L’attenzione alle scansioni del tempo, il passato, il domani hanno un rilievo che si potrebbe definire filosofico in entrambi i poeti, sino a diventare il filo conduttore, la prospettiva entro la quale tutti gli altri aspetti prendono forma e significato.

Note

1 Rinvio alla recensione: M.V. De Filippis, «Domani» di Velio Abati, in «L’ospite ingrato», 24 gennaio 2014.
2 Non sono infrequenti accenni a festeggiamenti e nozze, si veda per esempio la poesia Dalle fiere selvagge a p. 38 o Nel dì che ognuno invita al su’ diletto a p. 39.
3 Via Legnano si trova a Milano e lì Franco Fortini ha vissuto insieme alla moglie Ruth Leiser.
4 Richiamo qui alcuni titoli di poesie di Fortini con l’indicazione della pagina dal volume F. Fortini, Tutte le poesie, a cura di L. Lenzini, Milano, Mondadori, 2014. Mi limito, perché non è questa la sede per un’analisi delle poesie di Fortini, a darne i titoli lasciandoli in un ordine “cronologico”. La piccola scelta di testi fortiniani è stata fatta in relazione ai temi trattati nel corso di questa recensione. Per spiegare tale scelta aggiungo fra parentesi, accanto al titolo, una o due parole che aiutino a vederne il nesso con i temi trattati. Lettera (il padre), p. 44; Congedo (piccola notte), p. 160; Fra parentesi (non è vero), p. 174; Mattina di luglio (natura e storia), p. 227; Non è vero (l’incipit), p.253; La gronda (dalla finestra), p. 258; Le radici (non verrà nessuno), p. 280; In Memoria II (il padre), p. 325; A Vittorio Sereni (destini), p. 342; Questa mattina di sole (natura e storia), p. 355; La risposta (il padre), p. 438; Un’ora esiste (natura e storia), p. 444; Sono nella stanza… (tutto è ordinato), p. 506; E così una mattina… (dalla finestra), p. 507; Stanotte (l’incipit), p. 509; Nel cortile… (dalla finestra), p. 521; Così non fu… (natura e storia), p. 553.

 

 

 

Lo scritto che segue è desunto dall'intervento pronunciato dall'autore nell'incontro di presentazione dell'opera a Manciano, il 28 aprile 2018. v.a.

Walter Lorenzoni

Dentro e oltre la contingenza storica

L’ultimo lavoro di Velio Abati, intitolato Questa notte e pubblicato dall’editore Piero Manni di Lecce, ha il sottotitolo di Canzoniere, ad indicarci che in esso, secondo i canoni della nostra tradizione letteraria, l’autore ha raccolto e disposto in modo organico una scelta di tutta la sua produzione poetica, seguendo il criterio cronologico sommariamente indicato nella quarta di copertina: «[…] dall’impegno degli anni Settanta» all’oggi, con i suoi «silenzi straniti del notiziario del mattino». Si va dalla prima sezione (Il mattino) all’ultima (Questa notte), che dà poi il titolo anche all’intera raccolta, passando per quelle intermedie (Albe, Rese, L’ospite cerimonioso, Il vino e Il figlio). L’arco temporale all’interno di cui ci si muove attraversa, pertanto, fasi storiche ed esistenziali parecchio diverse, incrociando una vasta pluralità di temi e utilizzando un’ampia varietà di registri linguistici e stilistici, con scelte metriche assai differenti tra di loro, che spaziano dal verso libero al sonetto, dalla sestina alla ballata e a molto altro ancora.

Volendo isolare alcuni spunti e temi per presentare sommariamente l’opera, il primo elemento che, nella lettura, ha attirato la mia attenzione è stato il fatto che nei testi forte e ricorrente è il rapporto con il mondo della natura, il quale si adegua via via al contesto storico-esistenziale e stabilisce una tensione dialettica con l’io del poeta. Solo limitandosi all’osservazione delle prime due sezioni (Il mattino e Albe, Rese), si può registrare il passaggio da un rapporto complice con una natura che esprime forza e stabilità in virtù delle sua ripetitività, della sua ciclicità («Biondo verde e azzurro bevo a lungo / come vino vecchio / come un tempo che torna») ad un altro in cui abbiamo l’estromissione claustrofobica, l’impossibilità della conciliazione con la natura («Olive non colte / grano da seminare») ad un altro ancora in cui nella natura prevale l’aspetto cupo, minaccioso, la durezza degli agenti atmosferici, con spazi che diventano vuoti e perturbanti («Ormai implacabile la pioggia / alle orme disfatte dei campi / la sera inabissa»). L’intero percorso accompagnato da un cambio di ritmo che da narrativo diventa lirico.

Il mondo naturale poi, a volte, viene a creare una tensione oppositiva con il tempo: l’ordine e i tempi lunghi della ciclicità naturale, da un lato, e il tempo frenetico, interrotto e frammentato della contingenza storica, dall’altro. Il poeta sta dentro, vive, anche attivamente, la contingenza storica, ma al tempo stesso fa un passo di lato, in un punto di osservazione leggermente decentrato, fuori fuoco, che consente di intuire e percepire che la contingenza storica, sufficientemente distanziata grazie a quel minimo scarto, ha bisogno di sedimentare e di farsi portare a maturazione, come avviene nei tempi lunghi – e nel contempo giusti, esatti – della natura.

Va però precisato che la natura di cui si parla non è mai un mero sfondo paesaggistico che accompagna i moti dell’animo, ma è concretezza, materialità, che si esprime attraverso il puntuale riferimento al modo della vita di piante e animali, al mondo del lavoro contadino fatto di oggetti determinati e di gesti precisi. Il tutto reso con un linguaggio ricercato e accurato, dove « i nomi non perdono le cose», tanto per rovesciare un verso della poesia Interno. L’attenzione meticolosa alla ricerca lessicale, che va a recuperare termini specifici della tradizione contadina, fa pensare, di rimando, a quel ricchissimo lavoro che, in questa direzione e in maniera sistematica, Abati ha fatto nel suo romanzo Domani.

Ci sono sezioni della raccolta, poi, come L’ospite cerimonioso e Il figlio, in cui prevale l’aspetto giocoso, spensierato ed emerge il mondo degli affetti, con il ricorso frequente alle dediche e alle poesie d’occasione. Risulta qui predominante una costellazione rimica più disinvolta e briosa.

Nella sezione Il vino spicca la dimensione domestica, dei sentimenti e dell’amore. In atmosfere tratteggiate con pennellate sintetiche, ci viene restituito lo stupore che continuamente si rinnova di fronte al valore prezioso della vita, attraverso un senso di quiete e di profondità, anche se solcato da un filo di sottile inquietudine.

L’ultima sezione, Questa notte, quella che dà anche il titolo al Canzoniere, presenta una poesia matura, dove, ad esempio, acquista un rilievo particolare il tema della solidarietà e del conseguente convergere di io individuale e di noi collettivo. L’aggettivo dimostrativo «questa» (Questa notte) ci richiama alla concretezza: non la notte, ma questa notte, il nostro tempo oscuro e triste, dentro cui il poeta vive e con il quale intende interagire, provando, anche se in modo «incerto» e precario, con la sua poesia, a rischiarare il buio. L’accentuarsi dei toni pessimistici, nelle ultime poesie, è sempre però accompagnato da una speranza verso il futuro, da un’attesa paziente, che resiste alla tristezza del presente nella consapevolezza e nella convinzione che bisogna saper guardare oltre la contingenza storica, con lo sguardo lungo che un’ininterrotta frequentazione della natura ha educato nel poeta. Alla fine, insomma, e sono anche le ultime parole della raccolta, «irromperà lo squillo del picchio».

18 giugno 2018

Quanto segue è l'intervento tenuto in occasione della presentazione a Casa Azul (Follonica - Gr) avvenuta il 21-3-2018. v.a. 19 maggio 2018

Andrea Nuti

Una comunità di suoni, lavoro, relazioni

 Nel Marzo di due anni fa Velio era a Casa Azul a presentare il suo romanzo Domani e oggi con grandissimo piacere è ancora a Casa Azul col suo Canzoniere dal titolo Questa notte. In due anni ci ha regalato i frutti di un percorso di riflessione sul futuro (Domani), il presente (Questa notte) e il passato che è la cifra inevitabile di un Canzoniere che recupera testi poetici ed avvenimenti anche degli anni ’70.  Una fase dunque, quella attuale, di grande creatività.

Il Canzoniere di Velio raccoglie componimenti passati ed altri più recenti, con più forme metriche che vanno dal verso libero, al sonetto, alla sestina, all’ottava, alla ballata. È diviso in sei capitoli: Il mattino; Albe, Rese; L’ospite cerimonioso; Il vino; Il figlio e chiude con Questa notte che dà il nome allo stesso Canzoniere.

Alcune poesie risentono dell’impegno politico e civile, come la prima, Campagna elettorale, altre traggono spunto da occasioni conviviali, come l’ottava che termina con “Si votino or le coppe e che copiosi / siano i mesi e gli anni a’ novelli sposi”; altre ancora sono stimolate dal lavoro di insegnante “Voi che la vita educate in fiore” dedicata alla IVB, oppure dal suo ruolo di padre: per esempio tutte le Poesie dei mesi che mi hanno ricordato tanto la struttura degli haiku giapponesi. Per esempio Aprile: “Là sbrinca / la tinca // qui c’è il chiù / col cucù”; c’è l’amore verso la propria donna come nella poesia Mattino, ma su tutto domina la natura, una natura né idilliaca, né selvaggia, quanto legata al mare, al lavoro dei campi e alle stagioni “Oggi è di nuovo tramontana / i colombacci sventagliano bassi / tra i lecci. Breve giorno di gloria”.

Così come era avvenuto nel romanzo Domani l’altra assoluta protagonista è la parola, che è insieme colta e popolare. Non ho strumenti per analizzare i vari riferimenti letterari che Velio anima nelle proprie poesie, ma per quanto riguarda la parte popolare del suo scrivere certo si può dire, così come era avvenuto per il romanzo, che l’equilibrio dello scrittore nel non cadere mai nel vernacolo, ma anzi nell’attingere alla parola viva della terra d’origine è mirabile e straordinariamente creativo. “Accestisce qui l’erba che s’affolta da oltre vent’anni / alle trame affiora un ronzio di sciame”. Si coglie un profondo lavoro di ricerca che non è mai di ostentata erudizione, quanto piuttosto il tentativo di far rivivere tutto il mondo simbolico che dietro a quelle parole si nasconde. Mentre scrive il testo poetico Velio ricostruisce e costruisce una comunità di suoni, lavoro, relazioni.

Le poesie di Velio sono exempla allegorici, come è scritto nella quarta di copertina; Giorgio Luzzi le ha definite in un modo che a me piace molto come “delle schegge mnemoniche che la nebbia del tempo ha impigliato al vissuto”, momenti di vita quotidiana o occasioni conviviali che trascendono però il significato meramente descrittivo e diventano Altro, un Altro evocativo dove ciascuno cerca il proprio desiderio. Gli elementi di concretezza, tuttavia, non sfumano, non svaniscono e anzi restano protagonisti delle poesie. Non c’è evanescenza nelle poesie di Velio: per quanto alcuni passaggi possano essere ostici e non sempre di immediata comprensione, tuttavia c’è fiducia nella parola e nella sua possibilità di essere occasione d’incontro. Essa è viva proprio perché rifiuta “i nomi che hanno perso la cosa” come scrive il nostro poeta nella bellissima poesia che si intitola Interno.

Nel Canzoniere troviamo molte domande, interrogativi che l’autore rivolge a sé e al lettore sul presente, sul ruolo del poeta, penso soprattutto alla poesia Bruno: “Dove sono i giorni robusti di opere e scelte, / le biade mature, le piazze festose, gli accordi impazienti?”

Ma anche nella poesia Legàmi?: “Ma che cosa / mi chiedo / unisce la curva / di lapis sul foglio / alla mano malese / che tesse / in un millimetro quadrato il silicio? / Che cosa / mi dico / separa la nostra serena terrazza / dal perduto villaggio?”. Domande che aprono una breccia sul presente e invitano il lettore al pensiero.

La lettura di questo Canzoniere mi ha portato alla mente le parole che qualche tempo fa mi furono dette da Roberto Barocci, un uomo da molto tempo impegnato con grande preparazione nelle lotte ambientaliste a difesa della nostra terra: alla mia domanda sul perché del suo costante e duraturo impegno rispose: “non credo che le cose potranno andare avanti così per molto tempo e quando arriverà il momento io dovrò farmi trovare pronto perché i giovani hanno bisogno di supporto, strutture, sostegno, devo avere solo la costanza dell’attesa”. Ho inteso meglio tutto questo quando ho letto “Il sonno non è più completo. Forse / una voce un grido, una corsa. / Abbi, ripeto, la forza dell’attesa. Senti, / la luce presto squarcerà la piazza”.

Ringrazio dunque Velio di questa bellezza che ci regala perché sicuramente lui come altri amici, docenti, intellettuali di questa terra di Maremma, penso anche ad Assunta Princi o a Roberto Bongini, rappresentano per noi insegnanti della generazione immediatamente successiva un esempio di curiosità e divertimento intellettuale, oltre che di impegno sociale e civile.

 

Claudia Mineide

Caro Velio,

[…] le tue poesie sono bellissime, tutte, da quelle più impegnate a quelle più "leggere". In molte ho trovato la tenerezza struggente della campagna e del mare, la serietà, l'impegno e l'ottimismo degli incontri con gli studenti nel tuo casale, l'atmosfera accogliente, affettuosa che io stessa ho potuto sperimentare. Che bello questo tuo utilizzare gli stili più vari....

Alcuni versi si imprimono subito nella memoria, come succede quando si leggono grandi poeti "...qual è/ mi chiedo/ il sottile legame che stringe/ la parola che convince/ a quella che vince?..." […]

Claudia

3 maggio 2018

 

 

Recensione uscita sulla rivista on line Odissea  di Angelo Gaccione. v.a. 16 aprile 2018

Angelo Gaccione

Il canzoniere poetico di Velio Abati


Ogni qual volta mi capita fra le mani un libro di poesia, ho la conferma di una convinzione che il tempo ha radicato in me: per certa materia non è possibile altro linguaggio se non quello poetico, e altra modalità espressiva se non quella del verso. Lo so per esperienza diretta perché il mio rapporto con la poesia non è mai venuto meno; e nonostante volta a volta io abbia praticato la saggistica, la narrativa, il teatro, la fiaba o l’aforisma, è giunto sempre puntuale il momento del verso, spesso quando meno me lo aspettavo. È dal lontano 1964 che la raccolta inedita Una gioiosa fatica è andata strutturandosi fino ad oggi, seppure con le necessarie pause temporali. E nel 2017 mi è capitata la felice epifania di comporre in meno di una settimana, tra il 10 e il 16 gennaio, tutti i testi della piccola raccolta Spore, e nel luglio dello stesso anno, in un tempo altrettanto contratto, tutti i 30 testi di Lingua mater. Per giunta, questi, in lingua dialettale, e mai io avevo osato avventurarmi su un terreno così insidioso.
È l’ennesima riprova, questa, che al richiamo della poesia, certe sensibilità e certe anime, non possono assolutamente sottrarsi, e il verso viene loro naturale nella penna come qualcosa di estremamente familiare. A farla nascere possono essere le occasioni più disparate, così come gli argomenti più diversi.
Questo discorso sono sicuro si attaglia alla perfezione ad un autore come Velio Abati. Nel suo itinerario espressivo c’è una lunga frequentazione sperimentata sul territorio della narrativa, della critica letteraria, della saggistica, e tuttavia la poesia ritorna costantemente, fedelmente, a visitarlo. Lo ha visitato in passato, come dimostrano i suoi lavori precedenti, e ha continuato a farlo, come dimostra la pubblicazione di questa nuova raccolta dal titolo Questa notte, che Abati ci consegna con il sottotitolo di Canzoniere. È evidente che anche ad Abati un linguaggio solo non basta. Probabilmente i tre testi  Campagna elettorale, Legàmi? e Interno che aprono la prima sezione del libro, quelli compresi sotto il titolo Il Mattino, avrebbero potuto senza perdita alcuna giovarsi anche di una disposizione in prosa, perché conservano interamente l’andamento e il ritmo della prosa, ma già la seconda sezione, quella dal titolo Albe, Rese, chiede prepotentemente l’impeto del verso:
(...) Ormai implacabile la pioggia
alle orme disfatte dei campi
la sera inabissa (...)
Verso che solo perché tale può farsi splendore memorabile e profondità piena:
(...) E quanto gli stridi
sulla terra senza odori o
movimenti
ma tracce nette di sangue
in sequenze senza
meta.
Verso a cui solo è perdonata ogni oscurità, quando la parola si fa sonora e bellezza:
(...) Tu i lenti
giorni dispersi mi mostri
il tedio del gemito
delle ultime stanze, l’inutile
precipizio del sole nel soprassalto che consuma
l’azzurro del cielo.
Non c’è niente da fare, non c’era altro modo se non questo per dire efficacemente i sentimenti che impregnano un testo come Strage; Permanenza; formulare una drammatica interrogazione al padre come nel testo di pagina 28 senza titolo, i cui blocchi di versi sono separati da due semplici cardinali 1 e 2, o rappresentare i giochi di rima dei testi della sezione L’ospite Cerimonioso, o di alcuni di quelli meravigliosamente “innamorati” della sezione Il Vino.
Di grande suggestione i nove testi della sezione ultima, quella che chiude il libro e gli dà anche il titolo. Sono testi bellissimi che sanno di muschio, di erba e di terra; di solidarietà e di memoria; di spazi e di luce. Un canzoniere non canonico questo di Velio Abati, fatto di versi perfetti di un poeta maturo.   
 

Mario Marchionne

Carissimo,

a una prima lettura del tuo Canzoniere ero rimasto, in alcuni momenti, spaesato. Perché? Semplicemente per il motivo che mi sembrava di non riuscire a rintracciare un filo propriamente comune ai vari stili e stilemi, alle diverse espressioni di vita e di coordinazione temporale, pur rimanendo affascinato dalle suggestioni che evocavi e "intridevi" nel vissuto che era tuo ma non solo tuo.

E questo è l'aspetto che mi ha più colpito ad un'ulteriore e approfondita analisi: questo percorso presenta, nei suoi diversi aspetti, una comunanza di individuazioni soggettive e autobiografiche sconcertanti nella loro capacità di compenetrarsi nella terrestrità e nella quotidianità, come se il vissuto soggettivo e la realtà di cui sei parte fossero "naturalmente" parte di un unico respiro.

In questi giorni particolari per non dire bui, questo mi sembra un elemento di notevole rilievo, specialmente in un periodo come questo, in cui la separazione tra politica e socialità sembra assoluta.

Che cosa voglio dire: In Campagna elettorale che, penso non a caso apre il libro, scrivi: "Presse grano, verde e giallo/ giallo e verde/ la pianura scorre via/ nessuno per i campi/ odore di fieno fin dove l'occhio si perde." Qui ritrovo la sintesi del tuo lavoro autobiografico (se posso usare quest'espressione), nel senso che sembra prevalere l'elemento quasi straniato rispetto all'impegno politico, nel senso quasi di una solitudine che, tuttavia, così non è, perché l'elemento naturale non è mai paesaggistico, ma sangue e nervi, oltre che fatica e attenzione a ciò che si vive e lavora.

Un esempio: "Ma che cosa/ mi chiedo/ unisce la curva/ di lapis sul foglio/ alla mano malese/ che tesse/ in un millimetro quadrato il silicio?" 

Che cosa accade: accade che, come in molti altri passaggi del Canzoniere, il vissuto diventa collettivo non per astrazione intellettuale ma per l'inevitabile capacità compenetrativa con l'oggetto di riflessione. Ovviamente non si tratta di semplice descrizione di situazioni ma di un vissuto che sa di pienezza e di perdita, in certi casi irrisolvibile, come in Interno: "Ma ho paura di questa notte/ di questo budello cieco/ del ticchettio dell'orologio/ degli oggetti sparsi/ degli scuri chiusi./ Dei nomi che hanno perso la cosa.

Questo mi sembra un passaggio cruciale. Le parole che utilizzi non sono mai semplicemente un tassello di una sequenza logica e normativa dal punto di vista sintattico-grammaticale, ma risaltano, senza darlo a vedere, per la loro precisione, anche esistenziale, senza mai confliggere con l'elemento natural-politico-terrestre. (Mi rendo conto che l'approssimazione mi sta prendendo la mano ma è quello che penso conoscendoti.)

Albe, Rese è addirittura emblematico rispetto a quanto dicevo: qui abbiamo un omaggio a Majakovskij e, forse, alla sua ingenuità rivoluzionaria (che però rivoluzionaria era!) e, successivamente, quest'immagine folgorante: "E mai si spezzerà/ questo concavo specchio d'immutata immagine?" dove la realtà sembra oscillare fra il vissuto e l'immagine che del vissuto ci rimanda lo specchio sotto forma di appannamento e deformazione. O non si tratta di un mondo che diviene, pirandellianamente, imperscrutabile?

Ovviamente in te non è così, la realtà presenta sempre segnali, come in Pollicino, che possono contrassegnare un percorso, ma mai sicuro e definito, un percorso appunto, da costruire con tutta la nostra capacità e passione.

"Dal buio della finestra/ lo strido dei grilli è più forte./ Nelle stanze si dorme. La fatica non è finita./ Dovrei parlarti, ora. E non posso.": Qui è evidente la commistione, quasi lo struggimento tra l'elemento affettivo e il vissuto che sembra creare inciampi all'amore ma che, invece, è semplicemente parte integrante del vissuto nella sua integrità, intima e social-naturale.

Le poesie dedicate a Guido sono emblematiche nella loro apparente semplicità: "La brezza/ che spezza// pur la scorza/ la rinforza." Che cosa accade? Nulla, se pensiamo che il quotidiano e la pienezza degli affetti svincolati dal dato utilitaristico-economicistico (capitalistico?) siano tali. 

Per finire, mi sembra perfetta l'ultima poesia, Aggiornamenti: "Tu sai che nella terra precipita/ la corsa breve e gli slanci/ delle stagioni. Immobile rimane/ per niente materna.

Credo che Leopardi c'entri qualcosa e qui mi fermo perché altrimenti non si finisce più. È un libro importante per me e, ne sono certo, per chi lo leggerà.

Un abbraccio [...] 

14 aprile 2018

 

Scheda uscita sulla rivista L'Indice di aprile. 4 aprile 2018 v.a.

Giorgio Luzzi

“Ma ho paura di questa notte / di questo budello cieco / del ticchettio dell’orologio / degli oggetti sparsi / degli scuri chiusi. / Dei nomi che hanno perso la cosa”: sono i versi finali di una ampia quanto autorevole poesia giovanile che compare nella sezione iniziale di questo volumetto. L’ultimo verso suona come lo scatto di una porta che si chiuda. Tutto questo individua in maniera centrale il grande e irresolubile dilemma che puntualmente sorge quando ci si impegni in una letteratura, appunto, “di nomi”, quella del verso e della sua irriducibile permanenza, ove lo si giudichi, al di qua del significato. L’autore conosce benissimo la regola secondo la quale è proprio attraverso questa “morte” razionale che il testo si procaccia una sorta di vita altra, autonoma, emancipata e indiziariamente anticipatrice. Abati, come sappiamo, è noto soprattutto per il suo lavoro di studioso, di critico del Novecento (irrinunciabile esegeta di Fortini e Zanzotto tra gli altri), e narratore. I registri linguistici mobilitati in questo volumetto sono l’eco di vita di un intellettuale relazionato, colloquiale, dialogico e gnomico, familiare e eletto. La poesia risulta una cura avara nel tempo e pertanto assume per lui un duplice e contrastato volto, quello della gratuità e quello della necessità, ma anche una forma del lutto, come si evince chiaramente dai versi che ho riportato in apertura. Si va da poesie impegnate e “impregnate” di una ideologia avanzata, egualitaria e civilizzatrice, a schegge mnemoniche che la nebbia del tempo ha impigliate al vissuto, a traguardi di salute interiore e collettiva in cui domina un senso di primato cui ascrivere l’esistenza come tale; fino a tratti di coralità solidale; e a tratti, infine, di fragrante e letteratissima ironia. In altre zone del testo si fanno strada, con toni non apologetici e non statici, delle proposte di versi per così dire familiares, affettivi e dedicati, dotati di una sfuggente leggerezza che ci impone, in quanto lettori, di collaborare alla demarcazione del senso reale, del quanto si possano, oggi, organizzare nella letteratura del verso sequenze personalizzate senza rischiare il doppio agguato: l’eccessiva effusiva vicinanza o un distacco formale e anaffettivo. Abati ripristina qui un genere disusato e, senza smentire la propria origine terragna, della Toscana maremmana, si fa sperimentalmente visitatore sgusciante di antiche forme cerimoniali dello statuto della letteratura in versi.

Tiziana Drago

Velio carissimo,

[…] non ho potuto fare a meno di pensare alle voci più alte del linguaggio lirico novecentesco. Mi è venuta in mente quella linea ‘periferica’, dissonante, allegorica, fortiniana, polare rispetto alla tradizione simbolica e analogica, alla macerazione solipsistica e alla rarefazione semantica della parola. La tua è una poesia dominata da un lucido rigore compositivo. Una poesia che nomina, non suggerisce. Che recupera parole domestiche e parole “antiche”, di tradizionale letterarietà. Parole familiari (di un familiare non solo quotidiano, ma anche letterario: un lessico riconoscibile a un orecchio esercitato sui classici della letteratura). Una poesia che usa la parola poetica tradizionale non come decoro, né come esibizione. Semplicemente, le parole del passato puntellano la non frantumazione del dicibile, si sforzano di garantire la possibilità di un dire comunitario. Con punte di deliziosa ironia («…ed altri panni che non dico»), che mi hanno ricordato il crepuscolarismo gozzaniano. Mi stanno piacendo moltissimo le rime più ostentatamente ingenue e popolari, che nascondono sottili e coltissime memorie letterarie (anche l’“Ospite cerimonioso” mi fa pensare al “viaggiatore cerimonioso” di Caproni…): non a caso il tuo è un Canzoniere.

[…] Come sai, io sono una filologa classica, non una contemporaneista. Ma un orecchio un po’ allenato sui classici, appunto, mi fa percepire chiaramente la tua limpidissima propensione alla scrittura poetica […]

Un abbraccio forte e ancora grazie di aver voluto condividere con me questa parte così essenziale della tua vita,

Tiziana

3 aprile 2018

Ripropongo qui la nota di Annamaria Locatelli uscita nella rivista on line di Ennio Abate  Poliscritture, il 30 marzo 2018, v.a.

Annamaria Locatelli

…di Velio Abati ho letto frammenti di alcune sue opere, recensioni e commenti apparsi su Poliscritture, per intero la pièce teatrale Sera di primavera, apparsa su un numero della rivista Poliscritture…Trovo un legame tra queste opere nel cammino tracciato dall’autore -personale e corale, difficoltoso ma convinto e ispirato- inseguendo un filo rosso di continuità tra passato, presente e, profeticamente, futuro…Del passato “seleziona” l’età dell’oro nella arcaica, agreste civiltà contadina, dai forti sentimenti e personaggi, dure lotte (Domani). Il presente è Questa notte, lunga e buia, quella dei fallimenti, degli orrori, della desolazione di una umanità sconfitta nei suoi valori, ma che, barcollando, non vi rinuncia; attraverso la poesia dal sapore rude e antico (dei trovatori, delle tenzoni…) rinnova in qualche modo la speranza di una rigenerazione. Un percorso, secondo me, ove lo sbandamento e il cadere nel labirinto del senso, cozzandovi quasi ai margini della follia, appaiono nei versi ripresi da Ennio Abate: ” Qual è/ mi dico/ il sottile legame che stringe/ la parola che convince/ a quella che vince?/ E chi non vinse/ negata amica/ allora/ non avvince?”…Mi colpiscono la rassegnazione e la tenacia del discorso.

 

Ripropongo qui le note di Ennio Abate uscite nella sua rivista on line Poliscritture, il 30 marzo 2018, v.a.

Ennio Abate

Volevo, come di solito qui su POLISCRITTURE, pubblicare alcune poesie della ultima raccolta dell’amico Velio Abati con una mia nota. Donatello Santarone mi ha preceduto con la sua recensione. E allora aggiungo qui, nello spazio dei commenti, i miei appunti, nella speranza che possano animare una riflessione con l’autore di «Questa notte» ed altri amici/che.

* Appunti da una prima lettura di Questa notte

1.
Garbo senza affettazione. Saldo rapporto con una natura appartata e antica. Molto humus fortiniano.
2.
Echi di Pavese ( forse per il clima o per il modo di trattare il tema?)
3.
Campagna elettorale (pag. 7). Un titolo quasi ironico e ossimorico ( Ma la campagna – i terreni, le piante -può mai essere elettorale?). L’elegia prevale sulla storia: qui la campagna e l’assenza di persone o di folla si mangia la storia, la politica; e la stessa auto, che si è in essa insinuata, è quasi un accessorio del verde. Quella somara che «strappa l’erba /arrancando la costa» a me evoca Carducci, l’Ottocento e Davanti San Guido imparato a scuola a memoria:

«un asin bigio, rosicchiando un cardo
Rosso e turchino, non si scomodò:
Tutto quel chiasso ei non degnò d’un guardo
E a brucar serio e lento seguitò.»

Quasi una pagina di diario realistico, descrittivo, appena poetizzato. Campagna (ossia natura) contro umoralità frettolosa, ansiosa, angosciante del compagno di città pragmatico (e malato?):«”La strada, guarda la strada!”». Con sbalzi e impuntature utopiche improvvise, che dal prosaico vanno ai secoli , al Fortini dei «destini generali»: «Penso ai contratti/penso allo stato/penso a un mondo e a una vita/dove il dolore diventa coscienza/dove la lotta diventa gioia/potente/come i millenni di oppressione e di preistoria».
4.
Legàmi? (pag. 13). Assorto. Parentesi di quiete (« La sera è davvero stupenda»). Atti semplici… buon vino… essenzialità. Toti è Scialoja, credo…La realtà del capitalismo è evocata in questo clima elegiaco e di pace, riducendo al minimo discorsi che altrove si fanno troppo complessi e specialistici. Accostamento di immagini abissalmente lontane per il senso comune( «Che cosa/ mi dico/ separa la nostra serena terrazza/ dal perduto villaggio» (pag. 15). Sospensione nelle due domande finali: «Qual è/ mi chiedo/ il sottile legame che stringe/ la parola che convince/ a quella che vince?/ E chi non vinse/ negata amica/ allora/ non avvince?»
5
* Nel verso libero le ripetizioni ( a coppie ritmiche?):
«Fuori forse l’allodola canta/forse» (pag. 7);
« verde e giallo/ giallo e verde» (pag. 7);
«rosso/ come il sangue versato/ rosso) (pag. 9)
«Penso ai contratti/ penso allo stato/ penso a un mondo e a una vita/ dove il dolore diventa coscienza/ dove la lotta diventa gioia ( pag.10);
«Sono incazzato/ – si picchia con una mano -/sono incazzato»; «Camminiamo ancora/camminiamo a lungo» (pag. 11)
«il fascio della tesi/ che non va avanti, analisi/ di alcune strutture narrative nel Risorgimento/ analisi del ruolo dell’intellettuale/borghese/ nel Risorgimento/ che non va avanti.» (pag. 17)-

* Il rientro di certi versi. Per accentuare la sospensione?
Per fare un controcanto a se stesso come in un dialogo teatrale ( pag. 24)?
Ma non è lo stesso in Legàmi… (pagg. 13 – 16)
Quella ‘è’ (o ‘E’) isolata in un verso (pag.27, 29)

6.
Il titolo della sezione Albe,rese (che rimanda ad Alberese, Grosseto; alle ‘rese’ nel senso di arrendersi e di rendere a qualcuno qualcosa).
7.
«Aberrante pedale»? ( pag. 23)

8
«Vedo che siete, come pensavo, cocciuto/ vi porta dietro /il vostro sacco sonante, vi sento/ lamentoso e altero/ per le stanze /[Nota mia:poi versi con rientro] (e insiste il vento/ nella conca del mare, brucia/ il tramonto il cielo che affonda/ a riva/ oscilla una canna). ( pagg.24-25)
Sempre al dialogo segue uno sguardo alla natura,un estraniarsi nella contemplazione.
9.
L’Ospite (pag. 27). Colgo il riferimento a «L’ospite ingrato» di Fortini (e forse alla sua poesia Gli ospiti?), ma, assieme a Strage; Permanenza ( pag. 29), è il testo che mi resta più oscuro….
10.
Sezione L’ospite cerimonioso. Rimanda a Congedo del cavaliere cerimonioso di Caproni? Qualcosa tra Fortini e Caproni?
11.
Nel tempo che la primavera in mare (pag. 35). Un tono gioioso, rinascimentale… tutto natura e donne… senza storia
12.
Voi che la vita educate in fiore (pag. 36). Sonetto zanzottiano… ultraletterario.. forma e lessico d’antica tradizione
13.
Sulla Mosa c’è una rosa (pag.37). Abbandono alla rima… quasi da filastrocca…abusatissima rosa della letteratura… con morale inclusa
14.
Dalle fiere selvagge che in odio hanno (pag.38). Aumentano i riferimenti e le citazioni letterarie…. Dante qui… da festa nuziale…
15.
Nel dì che ognuno invita la su’ diletto (pag.39). Esplicito inno di festa e di cerimonia. Abbellimento del quotidiano con l’aulico. O travestimento rinascimentale di un evento familiare o poi amicale
16.
Per una tenzone ( pag. 40).

Una dichiarazione di poetica:
«La mia vita vedi tutta è ognor tesa/a nominar dell’olivo il sudore/ e, fra i bus, il sentore di ciliegio.»
17.
Sezione Il vino. Lirismo amoroso
Notazioni numerate di pezzi intimi o di vita familiare quotidiana, di memoria (IV).. quasi diarismo…
Si rivolge a un tu femminile? Serenità. Raccoglimento.
18.
Sezione Il figlio
Toni affettuosi.. .scherzosi.. d’incitamento. Ritorna insistente la rima. Epigrammicità più forte. Numerazione dei mesi (manca – mi pare – solo settembre). Composizione a moduli ( due distici rimati per ciascun mese)
19.
Tu sai già – pigolio di baci, trottola (pag. 65). Cosa sono i «gricoli»?
20.
Sezione Questa notte . In posizione conclusiva e che dà il titolo alla raccolta. Dialoga con Fortini («Le tue stanze sono alte il via Legnano/ a dito mostri i resti anneriti dei muri/ sinistri per le tracce slabbrate del novantanove») ma contemporaneamente con la figura di suo padre contadino («Ma solo a primavera, mi dice mio padre/ sapremo dei danni»). Attesa … pacatezza…
21.
Stanotte ho vegliato i soprassalti del mare (pag. 70). È come se, invece di dire cosa sente, descrivesse un paesaggio equivalente? Parla della tragedia vissuta da un migrante. La natura che accoglie come in una tomba drammi di mancanti incontro.
22.
Bruno (pag. 72). Atmosfere sempre sospese… pochi verbi.. molti nomi con aggettivo ( «gesto ritroso», «ciuffo superbo»…). Allusivo. Nel finale pare parlare di una salma: «Il referto è stato redatto. L’abito è composto./Il volto è senza pensieri. Solo i pugni/ non si sono sciolti».
23.
«Le nostre notizie sono ora
i licheni discreti, tra poco
il clamore del papavero effimero,
il sorriso fragile dei cisti. In alto

la burrasca» ( pag. 73)

Le notizie sostituite dalla contemplazione della natura
24.
Non è vero (pag. 74)
Pacatezza.. nessun risentimento… distacco..

 

Ripropongo qui la nota di Roberto Bugliani uscita nella sua rivista on line di Ennio Abate Poliscritture, il 28 marzo 2018, v.a.

Roberto Bugliani

Non avendo letto la raccolta poetica di Abati, ma solo quel che passa il convento di Santarone, mi pare, da questi excerpta, che l’impronta poetica fortiniana sia forte, a partire già dal titolo (il deittico, come nel titolo fortiniano Questo muro), molto di più di quella di Zanzotto, che qui non scorgo. Poi, negli ultimi versi di Abati citati da Santarone, l’eco di Fortini lo trovo assordante. Quanto all'”escursione lessicale”delle poesie che il recensore accosta al romanzo storico di Velio, e prendendolo in parola (qui a testimoniarlo c’è solo un piccolo regesto), se quello è il crogiuolo originario, me ne compiaccio, perché Domani è un bel romanzo.

 

Recensione di Donatello Santarone uscita sulla rivista on line di Ennio Abate Poliscritturev.a.

Donatello Santarone

Niente andrà perduto

La raccolta di poesie Questa notte (Manni, Lecce 2018, pp. 80, € 12) di Velio Abati consiste in  un canzoniere asciutto, fatto di “coscienza chiara e angoscia mortale” (Per una tenzone), che dà voce alle torsioni storico-esistenziali di un quarantennio e a quelle più personali dell’autore, insegnante, scrittore, critico letterario, organizzatore di cultura (Abati, tra le altre cose, ha diretto per quindici anni la Fondazione “Luciano Bianciardi” di Grosseto). Dall’impegno politico degli anni Settanta nella Nuova Sinistra alla sconfitta del decennio successivo, dalle feconde allegorie naturali alla cronaca bruciante del presente, dall’amore alla paternità, dal lavoro contadino allo studio universitario e militante, fondamentale quest’ultimo, non meno della prassi umana, per comprendere il mondo:

Ma pure l’esperienza

e i fortunati studi con chiarezza ti provarono

come la catena di umani voleri e poteri

la terra e la carne stessa, le piante

nel profondo trasformano e piegano

in altri paesaggi.

Tutto questo è detto bene nella quarta di copertina: “Nel solco illustre del canzoniere, la presente raccolta si nutre di una pluralità di movenze ritmiche, cerimonie, occasioni, tuttavia sospinte all’allegoria dell’exemplum. Così il titolo indica il gusto e insieme la necessità della concretezza di fatti, di circostanze. Le poesie percorrono faglie esistenziali e stagioni storiche distanti, dall’impegno degli anni Settanta ai silenzi straniti del notiziario del mattino.”

Le 36 poesie di Questa notte, divise in 6 sezioni, non sono “parole innamorate” ma schegge taglienti, dantescamente aspre, di un sentire fatto di carne e sangue, ansiosamente proteso a nominare luoghi e persone, a scommettere sul pensiero della poesia, in cui la cronaca di una campagna elettorale (del 1976), esperienza di condivisione attraverso i paesi della Maremma, anch’essa però attraversata da una presenza continua e solare del paesaggio contadino, si alterna a un prezioso sonetto rivolto ai giovani studenti affinché non perdano la speranza e provino un futuro:

osate, invece, il sogno con amore

e la mente sia chiara più che perla,

ferma la mano, a le ingiustizie ferla

compagna ai vinti, in gioia e ‘n dolore.

Abbiamo detto che c’è sempre nella poesia di Abati una concretezza fatta di gesti, atti, cose, sentimenti, un richiamo aspro alle fatiche del vivere, al lavoro. Dall’insegnamento operoso e forte ricevuto in famiglia, “dai giacimenti della tua umana cultura”, come scrive Camillo Pennati nella poesia proemiale dedicata all’autore, Velio Abati ha tratto una radicale diffidenza verso i “nomi che hanno perso la cosa”, cioè verso le caste intellettuali e politiche i cui discorsi contraddicono i comportamenti: “E’ troppo facile riempirsi la bocca/di rotonde parole.”. Ma anche verso l’identificazione di cultura e privilegio, di sapere e potere.

La sintassi di queste poesie è insieme argomentativa e colloquiale, così come il lessico, colto e “popolare”, in parte di matrice toscaneggiante ed anche con qualche neologismo: “biondità”, “stente” (“che stentano”, riferito alle “vacche brade”), “carpiccia” (“muschio”), “s’ingialla”, ”grìcoli” (neologismo onomatopeico che allude al “gri gri” delle dita che solleticano i bambini),“impannate” (“vetri”), “slontana”, “affolta”, “gattonare” (ma nel significato toscano di “amoreggiare”), “s’ingerla” (neologismo che imita l’italiano antico e che allude alla “gerla”, al cestino da cui nasce metaforicamente la speranza), “ferla” (la frusta del maestro, dal latino “ferula”),  “accestisce” (con richiamo immediato a un poemetto di Pascoli, anche se l’autore precisa che “quell’impiego non ha assolutamente nessuna motivazione o eco letteraria, perché è la forma ‘tecnica’ con cui nella lingua contadina dei miei s’indica il far cesto della pianticina d’erba, d’arbusto o di giovanissimo albero.”). E poi il Dante del Paradiso: “permotore” (“principio motore”), “s’indìa” (si avvicina e penetra in Dio: questo è un neologismo dantesco).  Al quale si accompagnano echi novecenteschi di Zanzotto e Fortini (di quest’ultimo segnaliamo due calchi espliciti nella poesia dedicata al poeta curdo Fahrad che evoca lo strazio dei migranti). Va ricordato che molto lessico poetico dell’autore richiama le escursioni lessicali necessarie a mettere in scena contadini e latifondisti, servi e padroni, volgo e clero, protagonisti di quel notevolissimo “romanzo storico” pubblicato da Velio Abati nel 2013 e che ha per titolo Domani.

La raccolta si conclude con l’ostinata rivendicazione di un futuro e di una speranza nella poesia significativamente intitolata Aggiornamenti. La nostra storia, quel che nel bene e nel male siamo stati, va trasmessa e usata: “Proteggete le nostre verità”, scrisse Fortini nella sua ultima poesia. Tutto questo è sempre attraversato da una natura incombente, pressante, viva, che, sembra dirci il poeta, non può essere cancellata dal nostro orizzonte storico-politico perché testimonianza insieme di asprezza e felicità:

Ma senti, nascosti tra i róghi

altri sguardi in attesa:

niente, di vero e di falso,

andrà perduto. Irromperà

lo squillo del picchio.

(E anche qui il lessico toscano ci consegna i “róghi”, i rovi, da non confondere con i “ròghi”, i fuochi.)

28 marzo 2018

 

Si ripropone qui il testo uscito nel sito Convenzionali nella data odierna. 5 marzo 2018. v.a.

Gabriele Ottaviani

"Pur piagato sbobini dall'arsenico affetto

e con trepida voce indichi chi ci nuoce".

Questa notte – Canzoniere, Velio Abati, Manni. La parola canzoniere fa sovvenire in modo assolutamente immediato sulla soglia del pensiero due illustri riferimenti, Petrarca e Saba. Che, secondo tempi e connotazioni espressive del tutto, com’è senza dubbio evidente, differenti, hanno però un elemento di forte comunanza. La descrizione del senso ultimo dell’attesa. Quel tempo altro rispetto alla normalità. Sospeso. Proteso verso l’infinito. Attraverso il quale si cerca di porre un freno all’inesausto e inesauribile dolore dei giorni. Mediante cui ci si illude di riuscire ad abbracciare la speranza. Tenta, riuscendovi, di dar voce all’ignoto e all’inconoscibile Abati, che attraversa il buio della coscienza per giungere alla luce.

Sandra Angiolini

Grazie Velio,

ho letto le tue poesie e mi hanno commossa. Hanno toccato la mia anima con la stessa delicatezza che un suonatore d'arpa mette quando sfiora le corde del suo strumento. Grazie, perché in un mondo come questo così ostile, freddo, inospitale, in un periodo storico così frammentato e buio la tua poesia per me è speranza.

con stima e affetto

Sandra

20 febbraio 2018

Piero Bevilacqua

Caro Velio,

come ben sai leggere poesia non è come leggere racconti o romanzi. Si fa con modalità di lettura davvero oggi insolita. La temporalità è diversa. Nel racconto vai lungo un tempo lineare che ha un inizio e un termine, come in un sentiero. Con la poesia vai e vieni, ritorni, rivai: è il tempo umano della riflessione, un tempo che non corre a consumare il suo oggetto, ma lo rimastica di continuo. Perché la poesia non si disvela tutta e subito, ma nasconde il suo fondo che va disseppellito poco per volta, a sprazzi. È il tempo che abbiamo perduto noi consumatori frettolosi di merce obsolescente.

Mi piacciono le tue poesie e mi ci ritrovo: devo dire soprattutto quelle in cui esprimi le relazioni umane, l'amore, ma anche l'amicizia. Quelle ad esempio, dedicate a De Francesco. O anche quelle in cui c'è di mezzo la lotta come tensione collettiva: “Penso al piacere di decidere insieme/ di vedere negli occhi dell'altro/ lo specchio della nostra speranza/ il lume al nostro sconforto”. Dove il motivo politico che serpeggia sotterraneo in tutta la ‘ballata elettorale’ non indulge in esortazioni impegnate, ma si fa fraternamente umano.

Ma mi piacciono gli sprazzi lirici frequentissimi, secondo me pienamente riusciti e davvero poetici, perché narrano di una natura che tu ben conosci e senti profondamente. Qualche esempio: “( e insiste il vento/nella conca di mare, brucia / il tramonto il cielo che affonda/ a riva/oscilla una canna)”. Chi ti ha visitato non può non sentire l'aria dell'Uccellina. Oppure :”Nel tempo che la primavera in mare/ le verdi acque move e i pesci chiama/ e nelle siepi il pruno fra pur rare/ foglie forza e costringe a breve trama” che ha echi pascoliani quasi esibiti. Oppure ancora, nei versi più tuoi, per linguaggio e aderenza agli oggetti: “Oggi è di nuovo tramontana/ i colombacci sventagliano bassi/tra i lecci. Breve giorno di gloria”.

Mi pare che la tua poesia ti rappresenti bene, non saprei dire se più pienamente del romanzo, ma certamente fa emergere un mondo che è tutto tuo, ricco di umori, di realtà terrestre, ma anche di amara, sommessa consapevolezza della storia che quotidianamente ci dà qualche speranza e più spesso ci ferisce.

Un abbraccio,

Piero

 

 

Recensione uscita su "QN La Nazione" il 18 febbraio 2018, "Agenda Grosseto", p.19.v.a.

La potente spinta al dialogo del canzoniere Questa notte

Dopo il romanzo corale, Domani, esce ora, sempre con l'editore Manni di Lecce, un’opera di poesia: Questa notte. La prima sorpresa del lettore non è tanto legata alla diversità di registro tra narrativa e poesia, quanto forse alla opposizione temporale già indicata dai titoli: al futuro del romanzo fa riscontro il presente dell'opera lirica. Anzi, il sottotitolo, canzoniere, quasi provocatoriamente esibisce uno sguardo volto al passato più illustre e antico della tradizione italiana. Abati, noto nella nostra città per l'attività culturale -è tra i fondatori della Fondazione Luciano Bianciardi che ha diretta per quindici anni - e di critico letterario, si presenta dunque con una veste rimasta fin ora più in ombra. E certamente nella sua opera letteraria il tempo è un tema centrale di meditazione. Del suo romanzo ebbe a indicare che la sua scrittura partiva da una condizione che, disse con Dante, "tant'è amara che poco è più morte".

Da quel punto estremo, di smarrimento e disperazione, partiva l'ampia ricerca rasoterra di ragioni e condizioni del nostro tempo, caparbiamente volta a ricordarci del futuro. Dallo stesso punto esistenziale e storico muove Questa notte, solo che l’energia che ne proviene non è indirizzata, come nella narrativa, a costruire un mondo, si consuma piuttosto in una accensione esplosiva, in cui passato, presente e futuro si condensano misteriosamente nelle loro reciproche lacerazioni, mancanze, utopie.

Il sottotitolo, Canzoniere, indica la volontà, posteriore forse, di ricondurre le accensioni apparentemente occasionali e incomponibili alla trama di una vita che, mentre si presenta privatissima, spera d’indicare il senso possibile del destino comune di un’epoca. I titoli delle sezioni conducono il lettore proprio su questa strada: dalle poesie giovanili del Mattino, alle ultime della sezione che dà il nome alla raccolta. In mezzo, gli amori, l’impegno civile, il figlio, il colloquio con gli autori più cari. La varietà dei temi è assecondata da un’altrettanta varietà di ritmi e metri, che vanno dal versolibero ai metri più antichi della lirica italiana: dal sonetto, alla sestina, all’ottava… C’è, in questo canzoniere lirico, che sovente muove da un chiuso solitario di stanze, una potente spinta al dialogo, come testimoniano i numerosi casi di dediche e, più sotterraneamente, l’allusività di movenze ritmiche, di complicità tematiche e stilistiche con autori della tradizione e contemporanei. Elemento magistralmente indicato dalla poesia inedita di un importante autore della letteratura italiana, Camillo Pennati, A e per Velio, che l’autore ha posto a mo’ di prefazione.

Elisabetta Francioni

Caro Velio,

in generale di Questa notte mi sono piaciute le poesie più "liriche", e meno quelle più impegnate o politiche (che immagino siano invece quelle che tu più ami); le tematiche le riconosco anche come mie, ma evidentemente mi hanno parlato meno, non saprei dirti il perché. Ho trovato molto carine e originali le Poesie dei mesi, quasi delle giocose istantanee in versi, inoltre Tu sai già – pigolio di baci, trottola per il bambino Guido; poi ancora, mi sono piaciute Nel tempo che la primavera in mare (omaggio all'8 marzo?), i bei nuptialia a p. 38-39 (declamati davvero per qualche coppia di sposi?) e infine C’è qualcosa di nuovo oggi, per terra; Oggi è di nuovo tramontana; Bruno; Non è vero; Le nostre notizie sono ora.

Mi hanno colpito le stagioni, la terra, il mare, gli olivi, che ricorrono spesso e che rimandano forse a delle radici contadine di cui non so, ma che sicuramente c'entrano molto col tuo fare poesia (anche quella politica, e non a caso).

Ti ringrazio ancora per questo volumetto, che ha preso posto nella mia libreria tra i "Libri di Amici e Familiari". 

Un cordialissimo saluto,

Elisabetta

14 febbraio 2018

Recensione di Di Francesco uscita sul Manifesto nella data odierna. 10 febbraio 2018. v.a.

Tommaso Di Francesco

Se la terra è desolata non resta che l'attesa e il sostegno della veglia

I versi che Velio Abati propone nella raccolta Questa notte (Manni, pp. 80, euro 12) porta non a caso il sottotitolo impegnativo di «Canzoniere», e sembra così suggerire che a tentare la costruzione di senso e forma del presente buio, nella voragine affluente, tocca ancora ai poeti.

Per farlo Velio Abati sembra stavolta abbandonarsi ben oltre la ragione e la memoria, per cogliere l’istante pieno di luce. Spiando in allarme l’incedere del giorno dalle finestre appena socchiuse. E da lì partire con una lunga interrogazione in versi. Con una novità: che Abati situa le domande dentro la natura che sta intorno testimone, con la «biondità del grano», della presenza umana. Dai colli dell’Uccellina al profumo di gelsomino di quelli di Algeri, inseguendo «il taglio che unisce/ l’oggetto e la finzione/ il concetto/ che non s’impronta ma copiando inventa».

Così nella poesia Legàmi, prorompono le domande inevase sulla distanza tra mondi separati, ma globalizzati e dipendenti: «Maligno/ ci si accalora/ è il seme dell’uomo./ Ma che cosa/ mi chiedo/ unisce la curva/ di lapis sul foglio/ alla mano malese/ che tesse/ in un millimetro quadrato il silicio?»; per concludere: «Qual è/ mi chiedo/ il sottile legame che stringe/ la parola che convince/ a quella che vince?».

Il dipanarsi dei punti interrogativi è una trama di pericoli che restano minacciosi e al buio, con una sola certezza, come nella conclusione della poesia Interno: che è di questa notte generale che atterrisce e dalla quale non è possibile volgere lo sguardo di fuga altrove, che bisogna parlare: «Ma ho paura di questa notte/ di questo budello cieco/ del ticchettio dell’orologio/ degli oggetti sparsi/ degli scuri chiusi./ Dei nomi che hanno perso la cosa».

Tanto che viene da rimproverare ogni «imperdonabile» rinuncia al canto con una invettiva perfino contro Majakovskij ricondotto ad una frequentazione quasi familiare: «Smettetela Vladimir, siete impazzito?/ O forse scopriste che l’inchiostro non basta/ a dissetare la classe?/ (…)/ O credeste che questa specie animale/ quasi/ immortale/ non meritasse più le saettanti/ vostre parole?».

È in una «pluralità di movenze ritmiche»  c’è il verso libero l’endecasillabo, fino alla ballata e la tentata ottava rima, il distico, l’epigramma e il poemetto, come per i versi della Campagna elettorale quasi ad evocare La matita copiativa di Massimo Ferretti  che si propone dentro l’albeggiare incerto dei giorni, dentro «l’ora che brontola» e la convivialità di cerimonie e saluti che si muove questa poesia d’occasione che, stavolta dal generale al particolare infinitesimo, interroga con l’ossessione del punto interrogativo il mondo. Dando voce alla natura altrimenti nascosta e massacrata. Dove «solo quest’urlo continuo di daino/ al culmine di una estate sempre ritornante».

Ma è la stagione privata che irrompe, aprendo stanze finora irraggiungibili, come quelle del figlio al quale dedica uno sferzante e amoroso calendario di mesi – quasi un lascito testamentario essenziale per le semine a venire  dove ottobre è «La foglia/ che perde/ tutto il verde/ sonno invoglia» e gennaio diventa «La brezza/ che spezza/ pur la scorza/ la rinforza».

L’intenzione, riuscita, della raccolta Questa notte è annunciare il valore dell’attesa, che l’autore chiama «il sostegno della veglia». Perché la terra non può restare solamente desolata. Pur consapevoli che «(…) le carte rimangono bianche./ Forse il sole verrà in un giorno solo/ tra gli acidi che chiamano effetto serra/ guarderemo i germogli fiorire».

Quanto agli umani: «Non è ancora, fratello, il tempo dell’abbraccio/ se mio è il porto dei tuoi affogati se/ la voce stessa ora ti è straniera». Tocca al verso  «sterco» da riciclare  riconnettere nel profondo, coscienti per chi prende la parola che l’ascolto è negato: «Ora so che nessuno/ busserà alla porta/ ma non mi rassegno».

In macerie la ragione, prende valore la tessitura del canto, che non si risparmia nel sondare il tumulto presente: «Il sonno non è più completo. Forse/ una voce, un grido, una corsa./ Abbi, ripeto, la forza dell’attesa. Senti,/ la luce presto squarcerà la piazza». Tocca ai poeti dunque consistere. Ed ecco la descrizione di chi sono i poeti, quasi a conclusione di tutte le domande rivolte al tempo: «Fin dove arriva lo sguardo/ dalle cose nessun’eco si leva./ È notte alta./ Severi, tenerissimi impugnano/ incerti/ la penna».